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L’articolo si propone di affrontare la natura di MoRE in relazione alla sua definizione come museo e alle modalità con cui esso si inscrive nell’attuale dibattito museologico e museografico, prendendo in considerazione una serie di aspetti che caratterizzano la ricerca artistica e l’esercizio della critica contemporanea proprio a partire dagli elementi e dalle attività considerati imprescindibili per definire un’istituzione come “museo” sanciti dalla definizione ICOM.
L’articolo si propone di affrontare e ricostruire il dibattito intorno al tema del non realizzato nell’arte contemporanea. In relazione al museo digitale MoRE, l’obiettivo è quello di individuare specifiche linee di ricerca e prospettive, spesso interdisciplinari, che hanno posto le basi per un progetto di ricerca, guardando al dibattito legato al ruolo del progetto e alla sua messa in discussione come a più recenti pratiche curatoriali, per arrivare a una definizione del non realizzato.
MoRE è un museo nativo digitale in cui si espongono opere, ma anche un archivio digitale in cui si raccolgono ed organizzano documenti, è una piattaforma a molteplici livelli in cui si confrontano differenti modalità di riflessione sulla contemporaneità: attraverso il dialogo con l’artista, il pensiero critico, l’organizzazione dei documenti, la comunicazione e la indagine sul pubblico. In questo intervento si individuano alcuni riferimenti critici che costituiscono un modello di riferimento per il progetto, in quanto riflettono sulla incidenza della dimensione digitale nella trasformazione del museo e dell’archivio.
Si propone in questa sede una sintesi dell’intervento presentato alla ventesima conferenza internazionale di Icofom del 2004 – il Comitato Internazionale per la Museologia – dedicata alla relazione tra museologia e patrimonio intangibile. Si tratta di una riflessione sulla possibile realizzazione di un museo senza spazio e senza collezioni, deputato a conservare solo opere di arte riproducibili archiviabili in forma progettuale: il Museo dei Progetti.
Il presente intervento è relativo ad un progetto in corso da diversi anni per la costituzione di un thesaurus di artisti senza opere la cui costruzione si misura con i temi della produttività in ambito artistico. Si parla di artisti che hanno riflettuto sulle problematiche della produzione, che si sono misurati, che hanno fallito o che semplicemente si sono interrogati sulla necessità di produrre e distribuire le opere.
Il testo si propone di indagare un territorio di confine tra arte e letteratura a partire dal caso specifico de Il Museo dell’innocenza di Orhan Pamuk. La caratteristica per cui è stato scelto questo esempio è che il protagonista costruisce una sorta di museo con gli oggetti della persona amata e che Pamuk stesso ha costruito davvero il museo. Il Museo dell’innocenzadiventa quindi un libro e un’opera d’arte e si basa su un meccanismo per cui facts and fictions diventano intercambiabili.
Le domande in questa intervista seguono e riprendono l’intervento di Luca Trevisani al convegno tenutosi nel novembre del 2013 presso il Museo del Novecento di Milano. Trevisani era stato invitato per “rappresentare” una nuova generazione di artisti, che, nati tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta si sono trovati ad operare proprio all’inizio del nuovo millennio.
Ugo La Pietra è uno dei tre artisti che con le proprie opere hanno inaugurato MoRE nell’aprile 2012. Invitato a partecipare al progetto perché nel suo lavoro il gruppo di ricerca ha individuato senza dubbio alcuno un punto di riferimento importante per la riflessione sul “non-realizzato”, aveva allora inviato un messaggio con cui dichiarava di trovare assolutamente coerente per progetti non realizzati la dimensione “virtuale”.
Archivi e musei condividono la stessa natura duplice di luoghi di conservazione e di produzione della memoria. Una memoria che è, innanzitutto, sguardo critico sul presente, occasione di creazione e di azione, assunzione di responsabilità, collettiva e del singolo. Così, muovendo dalle riflessioni di Derrida, il saggio intende appunto sottolineare la processualità propria degli archivi e dei musei del tempo presente, mettendo in luce come entrambe le istituzioni debbano essere il luogo trasparente della scelta e dell’interpretazione del documento secondo dichiarate, ma non per questo indiscutibili, regole. Senza eccessivi irrigidimenti o sclerotiche esclusioni, ma nella consapevolezza che la contemporanea Archive Mania se non controllata può condurre al paradosso dell’archivio totale, al collasso della tag universale.
La storia, le difficoltà e la complessità della conservazione dei materiali audio e video dell’Archivio di una associazione culturale senza scopo di lucro (Careof), che senza fondi propri è riconosciuto come Storico dagli enti preposti e che col suo lavoro intende donare a futura memoria tutte le informazioni che possiede.
Con il presente scritto si presenta Agave. Contributo allo studio delle fonti della storia dell’arte in Italia nel Novecento, il portale esito di una ricerca sulle fonti dell’arte del XX secolo. In questo contesto si intende sottolineare quanto lo spoglio di un quotidiano come il palermitano L’Ora, e la creazione di una base dati consultabile in rete, richieda una profonda consapevolezza della specificità delle fonti dell’arte contemporanea, e nello stesso tempo restituisca una risorsa multidisciplinare che consenta l’individuazione di informazioni utili alla ricerca storica.
Attraverso esempi pratici, studiati in occasioni passate e in differenti contesti, il testo mira a sottolineare come le installazioni di arte contemporanea possono intendersi a tutti gli effetti come opere “non realizzate” e mai realmente finite. La metodologia conservativa per questo tipo di opere esuli, a volte in maniera radicale, da quello valido per opere tradizionali, avvicinandosi sia a livello pratico che teorico alle metodologie usate durante la catalogazione, l’archiviazione e la conservazione digitale dei dati.
Questo numero vuole offrire una riflessione critica sulla storia e il ruolo della catalogazione come strumento di organizzazione del sapere e di tutela dei beni culturali, anche attraverso un’analisi dell’evoluzione dell’inventario da ‘lista delle cose’ a strumento digitale di valorizzazione e comunicazione di una collezione, riflettendo inoltre sull’importanza del catalogo come forma di ricognizione individuale e/o di rappresentazione collettiva.
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