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Le mostre d’arte occupano una parte considerevole degli Scritti giornalistici di Gabriele d’Annunzio che, soprattutto quando lavorò come cronista modano a Roma, per lavoro dovette visitarne molte. Uno degli artisti che apprezza maggiormente è Francesco Paolo Michetti. Ed è proprio da un quadro dell’amico che nasce nel 1903 l’opera più acclamata del teatro dannunziano: La figlia di Iorio. Questo contributo offre una riflessione sulla frequentazione delle mostre di d’Annunzio, e sulle prospettive teatrali che quegli eventi gli offrirono.
L’articolo indaga in maniera approfondita le vicende legate all’organizzazione dell’Esposizione Beatrice (Firenze, 1890), il contesto culturale e la tradizione espositiva nella quale si inserisce, evidenziando i contatti con il mondo dell’emancipazionismo femminile e quello delle arti applicate e concentrandosi in particolare sul carteggio relativo all’evento tenuto da Angelo De Gubernatis, suo principale animatore, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze.
La Mostra dell’agricoltura, dell’industria e delle arti applicate, detta più comunemente “del Lazio”, tenutasi nel 1923 presso il Galoppatoio di Villa Borghese a Roma, impegnò l’architetto Armando Brasini nella realizzazione di una vera e propria “cittadella” espositiva; i scenografici padiglioni, poi impiegati per le ambientazioni del film Quo Vadis, furono progettati come elementi cardine di un utopico spazio urbano dove potesse di-mostrarsi la rinascita, tutta fascista, del mito imperiale.
L’articolo prende in esame la riorganizzazione del Museo dell’Alto Adige a cura di Wart Arslan negli anni 1933-1938 in relazione alle scelte dell’allestimento, alla propaganda di regime, agli studi sulla pittura barocca nel primo Novecento, sulla scorta dell’epistolario di Arslan e degli articoli apparsi sulla stampa specialistica.
La mostra dedicata a Caravaggio, che si tenne a Milano nella primavera del 1951 a cura di Roberto Longhi, rappresentò un momento culminante degli studi caravaggeschi della prima metà del XX secolo e segnò uno spartiacque nella storia critica del maestro lombardo. In questa sede si prendono in esame testimonianze sinora poco valutate, ovvero le recensioni e gli articoli apparsi sulla stampa periodica non specialistica e sui quotidiani, che offrono materia per una riflessione più ampia sul tema del realismo.
Nel 1962 Enrico Crispolti inaugura, presso il Forte Cinquecentesco dell’Aquila, la prima edizione della rassegna “Alternative Attuali”, proponendo un nuovo modello di mostra collettiva: non una semplice rassegna di artisti diversi, ma la proposta di un dialogo fra diverse posizioni (le “alternative”) volte al superamento dell’Informale. Con il modello della “mostra-saggio”, arricchita da un dibattito in catalogo, veniva per la prima volta applicata una idea espositiva che mettesse in prospettiva critica (e in proiezione storica) la situazione presente.
Dal 1986 il “Centro per l’Arte Contemporanea Italia Giappone” (ACIG) ha promosso un’intensa attività espositiva che ha importato, in Italia, importanti artisti giapponesi contemporanei ed esportato, in Giappone, l’arte italiana del Novecento. Il saggio vuole ricostruire l’attività espositiva del Centro su tutti i livelli. Ai fini della completezza, il contributo è integrato da un’intervista allo stesso Giuseppe Niccoli.
Gallerista, organizzatrice e curatrice di mostre, Romana Loda è stata un personaggio chiave nella diffusione dell’arte delle donne in Italia negli anni Settanta: l’articolo si propone di riconsiderare il suo ruolo, concentrandosi sulle esposizioni al femminile da lei organizzate tra il 1974 e il 1978. Rileggere l’attività di Loda consente di affrontare alcuni nodi essenziali del dibattito critico sul femminismo e sull’arte delle donne, in particolare la presa di coscienza e la denuncia delle disparità tra i sessi, le difficoltà delle artiste nell’accesso agli spazi espositivi e nel rapporto con le istituzioni, e, soprattutto, il ruolo controverso delle cosiddette mostre “ghetto”.
Nell’articolo, per inquadrare il dibattito che propone una contestualizzazione del cibo nell’ambito delle pratiche artistiche contemporanee, saranno ripercorse le letture critiche fornite in occasione di alcune esposizioni più recenti, utilizzando le mostre come verifica e come stimolo per possibili riflessioni.
Il saggio prende in esame la prima mostra europea sul rapporto tra “suono” e “ambiente”, Sonorità Prospettiche, tenutasi a Rimini nel 1982 e successivamente riallestita in forme differenti a Lugano, Ferrara, Bologna e Ivrea. La particolarità dell’iniziativa risiede nel taglio curatoriale che – inserendosi nel dibattito internazionale su una possibile definizione di sound art – riflette, al di là delle maglie disciplinari, sul rapporto circostanziale e concettuale tra “suono” e “ambiente” attraverso l’esposizione di progetti ambientali non realizzati (o irrealizzabili) e la messa in scena di performance.
L’articolo mette in luce i nessi fra la decostruzione del medium esposizione realizzata da Jean-François Lyotard in occasione di Les Immatériaux e le precedenti sperimentazioni che il filosofo aveva compiuto con l’audiovisivo, in particolare quelle volte a infrangere la corrispondenza fra sonoro e immagine, e a minare la legittimità autoriale. A metà fra opera d’arte e mostra temporanea, Les Immatériaux, prefigura anche uno spazio di visita imparentato con l’esperienza della navigazione in rete.
Nell’ambito delle opere contemporanee dal carattere complesso, le esposizioni non si limitano più a essere strumenti di comunicazione e di dialogo con il pubblico, ma si configurano come veri e propri momenti di co-creazione, di scambio e di conoscenza non solo della cultura e della società del proprio tempo, ma dello stesso linguaggio e della struttura del sistema artistico contemporaneo. L’autorialità multipla caratterizza così l’ambito di produzione e spesso di ideazione di una mostra, di un’installazione o di un’opera d’arte complessa.
A partire dagli anni Settanta le mostre non restano nei confini istituzionali ma, dopo essere scese in strada, entrano nelle case private, facendo così cadere la distinzione fra luogo deputato all’arte e no, fra pubblico e privato. Ciò comporta un cambiamento nella percezione dell’opera e dei legami sociali che la fruizione artistica induce. Questo articolo si propone di documentare e leggere criticamente il fenomeno delle mostre negli spazi domestici dagli anni Novanta a oggi, con particolare attenzione alle iniziative private senza fini di lucro esistenti in Italia.
Giunta alla sua decima edizione, Manifesta – European Biennial of Contemporary Art rappresenta senza dubbio un caso singolare all’interno del sistema internazionale delle biennali. Inauguratasi nel 1996 la rassegna, grazie al carattere itinerante e all’attenzione nei confronti di ricerche artistiche e pratiche curatoriali innovative, si è inizialmente posta in dichiarata contraddizione rispetto alle “large-scale international exhibitions” che oggi individuano la sempre più fitta mappa dell’arte globale. Una originalità in parte smentita dalla scelta dell’Hermitage come sede dell’ultima edizione.
Sempre più frequentemente si presentano mostre che sono la riproposizione di mostre già realizzate in epoche precedenti, questo fenomeno costituisce un interessante strumento di studio e di analisi di aspetti dell’arte del passato, ma anche dell’evoluzione dell’arte attuale. Partendo da una riflessione critica sul recente reenactment della famosa mostra degli anni Settanta La ripetizione differente alla Fondazione Marconi di Milano, l’articolo intende soffermarsi su tale pratica curatoriale.
L’articolo è il resoconto del simposio internazionale IMPACT14 che si è tenuto presso il centro coreografico Pact Zollverein di Essen (20-23 novembre 2014). I tre relatori della decima edizione del convegno sono stati la storica dell’arte Dorothea von Hantelmann, il musicista Jonathan Bepler e la performer Kate McIntosh. Tra pratica e teoria, il workshop ha permesso la condivisione, lo sviluppo e l’approfondimento di numerosi aspetti “critici” della nozione di “esposizione” nelle arti contemporanee.
L’articolo prende in esame le relazioni italo-albanesi negli anni compresi tra il 1914 e il 1943 e in particolare l’esperienza di una generazione di artisti albanesi che si forma a Roma in questo arco di tempo. Partendo da una breve analisi delle condizioni storiche che hanno favorito lo sviluppo di relazioni culturali fra i due paesi, il testo si sofferma su alcune tematiche emerse dalla lettura dei documenti, come i rapporti degli artisti con l’istituto romano e l’istituzione di specifiche borse di studio a sostegno dei viaggi di formazione in Italia.
Questo numero vuole offrire una riflessione critica sulla storia e il ruolo della catalogazione come strumento di organizzazione del sapere e di tutela dei beni culturali, anche attraverso un’analisi dell’evoluzione dell’inventario da ‘lista delle cose’ a strumento digitale di valorizzazione e comunicazione di una collezione, riflettendo inoltre sull’importanza del catalogo come forma di ricognizione individuale e/o di rappresentazione collettiva.
Atti del convegno internazionale 16, 23 e 30 settembre 2021 Introduzione Full Text Il progetto artistico non realizzato The unrealised art project Elisabetta Modena Post-enactment. Realising the unrealised work of art The essay suggests the concept of “post-enactment”...
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